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Tre colpevoli per un disastro
Meno personale e meno posti letto
Non funziona il filtro delle cure territoriali
Costretti a trattare 6 milioni di ingressi inutili
Negli ospedali ingolfati della capitale

Tre colpevoli per un disastro
di MICHELE BOCCI e MARIO REGGIO
ROMA - È il luogo dell'ultimo istante, dove si salvano le vite nel giro di minuti o secondi ma può anche diventare un girone d'inferno. Per chi aspetta, una visita o un letto, per chi ci lavora, per chi ci porta un proprio caro malato. Il pronto soccorso vede un numero sempre più alto di pazienti, in Italia siamo ormai a 24 milioni l'anno. Queste strutture in molti casi si trovano a tenere in piedi da sole la risposta sanitaria. Finiscono qui i casi gravi e urgenti, ma anche quelli legati al disagio sociale, oppure alle paure infondate delle persone. E così che in periodi come quello influenzale, nella metà delle regioni italiane i reparti dell'emergenza sono loro stessi in continua emergenza.

Cosa succede? Come mai siamo arrivati a questo punto? Come spesso avviene in sanità non c'è un'unica causa ma piuttosto una serie di fattori che insieme stanno trasformando gli ospedali italiani in maxi pronto soccorso. La colpa la portano in molti, chi organizza la sanità, chi ci lavora ma anche, in certi casi, noi cittadini.


Meno personale e meno posti letto
di MICHELE BOCCI e MARIO REGGIO
ROMA - Mentre i pronto soccorso sono presi d'assalto dai malati, cala il personale del Servizio sanitario nazionale (Ssn) causato dal blocco del turnover nelle Regioni che devono rientrare dai miliardi di euro di debiti accumulati negli anni. Dal 2009 al 2013 gli occupati Ssn sono diminuiti di 23.476 unità. Passiamo ai posti letto. Ne sono stati chiusi 71mila dal 2000 ad oggi. E altri 3mila spariranno nel 2015. La riduzione è stata attuata anche in altri Paesi della Comunità Europea, ma non in maniera così pesante come in Italia. La Francia registra una media di 6,37 posti letto per mille abitanti, la Germania 8,22 mentre in Italia siamo arrivati a 3,6 posti letto, ben al di sotto della media europea.

Quali sono le cause principali per cui si ricorre all'ospedale? Continua a guidare la classifica il parto con 137mila dimissioni per parto naturale e 74mila in caso di parto cesareo senza complicanze. Subito dopo le patologie cardiovascolari, quelle respiratorie e gli interventi chirurgici. Torniamo ai pronto soccorso che sono il terminale di tutti i problemi. "I cittadini sono costretti a recarsi al pronto soccorso perché mancano altre risposte vere sul territorio - dice Massimo Cozza, segretario nazionale della Cgil medici - e il peso dei ticket è diventato insostenibile per larghe fasce di popolazione e la struttura di emergenza è vista come un posto dove fare diversi esami e tutti assieme, magari senza spendere nulla". L'affollamento provoca lunghe attese e la conseguente rabbia dei parenti del malato in barella. A pagare sono anche i medici, gli infermieri e gli ausiliari che devono affrontare l'emergenza. Così spesso i turni vengono raddoppiati da 7 a 14 ore perché manca il personale e tutto viene risolto con gli straordinari.

L'affollamento e il taglio dei posti letto creano un ulteriore problema: spesso le barelle delle ambulanze vengono utilizzate per "ricoverare" i pazienti che non trovano posto nei reparti. E il mezzo di trasporto d'emergenza rimane fermo fino a quando la barella non viene restituita. Si calcola che nel Lazio durante lo scorso anno il "fermo" delle ambulanze ha toccato le 130mila ore, in pratica un mezzo fermo per 20 anni consecutivi.

Non funziona il filtro delle cure territoriali
di MICHELE BOCCI e MARIO REGGIO
ROMA - Dovevano segnare la svolta delle cure territoriali ma stanno partendo solo adesso alla spicciolata e sono pure diverse a seconda delle Regioni. Si chiamano Uccp, Unità di cure complesse primarie e tra gli effetti della loro nascita doveva esserci anche un alleggerimento del lavoro dei pronto soccorso. In realtà per ora queste aggregazioni di medici di famiglia sono partite solo in alcune regioni (talvolta con nomi diversi dall'acronimo stabilito nel contratto di lavoro di questi professionisti) e ancora non si è capito che impatto avranno sulla sanità. Di parole ne sono state dette tante: si è parlato di super ambulatori aperti 24 ore su 24 grazie alla collaborazione della guardia medica; si è parlato della possibilità di fare alcuni esami diagnostici e comunque di trovare sempre qualcuno pronto a raccogliere la richiesta di aiuto dei pazienti.

Sulla carta tutte cose interessanti che vanno però ancora trasformate in realtà. Del resto, per fare giusto un esempio, solo nel febbraio scorso il presidente della Campania Stefano Caldoro ha annunciato entusiasta che le Uccp partiranno presto. "E saremo i primi in Italia". Il commento di Giacomo Milillo, il capo della Fimmg, il sindacato più diffuso dei medici di famiglia, è eloquente: "Sulla carta ci sono dappertutto ma quasi ovunque sono in forma embrionale". Insomma, ancora non funzionano salvo in regioni come Emilia e Toscana, dove tra l'altro hanno un nome diverso: "case della salute".

I super ambulatori, che sono spuntati nei contratti collettivi dei medici di famiglia già molti anni fa, vennero ufficializzati dal ministro Renato Balduzzi nel 2012. I loro effetti sulla sanità italiana ancora non si vedono. Per quanto riguarda i pronto soccorso non sono serviti a dare un po' di respiro in quest'anno difficilissimo, anche a causa di un'influenza piuttosto contagiosa. I gruppi dei medici di famiglia, e nemmeno i singoli professionisti, non sono serviti a fare da argine alle richieste di prestazioni di urgenza da parte dei cittadini. "Per forza - commenta Vittorio Boscherini, vicepresidente Fimmg - negli studi avremmo bisogno di radiologi che facciano diagnostica. Solo in questo modo le persone vengono disincentivati dall'andare ospedale. Già nel 2000, a Firenze, avevamo fatto una sperimentazione che vedeva insieme 45 medici di famiglia. Ebbene, i pazienti venivano inizialmente da noi, ma i nostri controlli facevano trovare più problemi, così i viaggi ai pronto soccorso addirittura aumentavano. Dobbiamo essere in grado di dare una risposta spostando la diagnostica verso il territorio".

Visto come sono ancora indietro alcune regioni sulle Uccp è difficile ipotizzare a breve un cambiamento del genere. Insomma, chi si aspettava un aiuto dal territorio al pronto soccorso non aveva fatto bene i suoi calcoli. Di fronte ai problemi legati all'organizzazione degli ospedali e dei servizi di emergenza non c'è un lavoro dei medici di famiglia che aiuti a sgravare i compiti dei colleghi dell'urgenza. Lo stesso Milillo allarga le braccia: "Il territorio effettivamente non filtra molto ma manca anche una recettività di ritorno. Nel senso che i pazienti dopo essere stati curati dai pronto soccorso o comunque dagli ospedali devono essere rimandati sul territorio, magari hanno bisogno di letti cosiddetti intermedi prima di tornare a casa ma questi purtroppo non ci sono in molte regioni".

Se si parla di filtro del territorio non si può ignorare l'assistenza a domicilio dovrebbe essere la norma, come accade in molti paesi dell'Unione Europea, e invece non lo è. Con questo tipo di attività si eviterebbe di riportare al pronto soccorso chi magari c'è stato cinque mesi prima.  La Corte dei Conti, nella sua recente relazione sulla sanità, ha avvertito che "se non verranno fatti investimenti nell'assistenza domiciliare e la medicina sul territorio, tempo un paio d'anni e non verranno più assicurati i livelli essenziali d'assistenza".

Costretti a trattare 6 milioni di ingressi inutili
di MICHELE BOCCI e MARIO REGGIO
ROMA - I dati sono chiari, almeno un quarto delle persone che si presenta al pronto soccorso ha problemi da poco, che potrebbero essere risolti altrove. Quando si va alla ricerca dei motivi in base ai quali le stanze dell'emergenza degli ospedali italiani sono sempre strapiene si può criticare l'organizzazione del sistema, la mancanza di mezzi e lo scarso aiuto fornito da alcune categorie dei medici, ma non si può ignorare il ruolo dei cittadini. In un'epoca di consumismo anche sanitario non va sottovalutata la crescita della domanda di risposte rapide da parte di chi ritiene di essere malato e in realtà non lo è, almeno non gravemente. E, al di là delle attese che possono arrivare ad alcune ore, va riconosciuto che quando si esce dal pronto soccorso si ha in mano una diagnosi, magari basata su esami strumentali che altrimenti richiederebbero settimane o mesi di lista di attesa per essere prenotati. E così in molti vanno nei dipartimenti di emergenza magari qualche giorno dopo essersi fatti male, o comunque per cose che potrebbero essere risolte dai medici di famiglia o da una visita con lo specialista.

Quanti sono gli accessi inappropriati ai pronto soccorso? Non è facile dirlo. Sappiamo che sono circa 24 milioni le presentazioni a queste strutture in un anno (dato che tiene conto anche del fatto che qualcuno in 12 mesi può andarci più volte). Ebbene, secondo le stime della Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza e urgenza, i "codici bianchi" sono circa il 15%. A questi, i problemi più banali, va aggiunto il dato dei cosiddetti "codici verdi". In totale sono il 66% ma va riconosciuto che tra questi ci sono varie situazioni che non mettono il paziente in pericolo di vita, ma comunque meritano di essere viste nel pronto soccorso, ad esempio una colica renale. Anche prendendo solo una piccola frazione di questo magma di codici verdi, il 10%, e sommandola al 15 dei codici bianchi si otterrebbe un accesso su quattro ai pronto soccorso non appropriato. Si tratta di circa 6 milioni di ingressi inutili. È come se queste strutture viaggiassero su un doppio binario e l'esempio di quello che accade lo dà bene quanto successo quest'inverno con l'influenza. Da una parte ci sono gli anziani con varie malattie, abbattuti ulteriormente dal virus e per i quali magari c'è difficoltà di trovare letti nei reparti, affollati o comunque non attrezzati adeguatamente. Dall'altra ci sono quelli che con un semplice mal di gola, oppure con la febbre a 39 dovuta all'influenza corrono spaventati a farsi vedere. Certo, i pronto soccorso più moderni, quelli degli ospedali più grandi (cioè quelli dove si assistono circa 100mila pazienti all'anno), sono ormai organizzati piuttosto bene per dare percorsi diversi ai pazienti più seri e a quelli da codici poco gravi, ma in molte strutture questo continuo presentarsi di persone che non stanno male crea problemi e disagi agli operatori.

Accessi record e ambulanze ferme, viaggio negli ospedali romani


Negli ospedali ingolfati della capitale
di MARIO REGGIO
ROMA - Policlinico Umberto I. Un mezzogiorno di una giornata qualunque. Lungo il dosso che sale verso il pronto soccorso quattro ambulanze del 118 e due private sono parcheggiate con il motore spento. È la conferma del fermo delle ambulanze. Gli equipaggi sono a terra. Cosa state aspettando? "Che ci restituiscano le barelle perché altrimenti non possiamo tornare in servizio", risponde un infermiere del 118.  Entrare nel pronto soccorso è un'impresa. Ma per quasi tutti i problemi la soluzione si trova. "Ho appuntamento con il professor....". Il medico esiste davvero ma non ha alcun appuntamento. Una volta all'interno del "Triage" (parola francese che vuol dire selezione) tutto diventa più facile. Una ventina di barelle sono parcheggiate in un salone e lungo il corridoio. Anziane, anziani, giovani e meno giovani. Quello che impressiona chi non è abituato è la promiscuità. Medici e infermieri girano come trottole, si vede che conoscono il proprio mestiere.

Un medico con tono perentorio ordina: la signora va in Ortopedia, il signore va in camera operatoria. In pochi secondi le due barelle scompaiono. Una donna anziana si lamenta. "Tranquilla adesso la portiamo a gastroenterologia e le fanno tutti gli esami", sussurra un'infermiera. Sono passati 40 minuti da mezzogiorno, gli accessi sono arrivati a 151. La giornata è ancora lunga e poi c'è la notte.

Il San Giovanni-Addolorata è uno dei più antichi ospedali della capitale. Per secoli gli ammalati sono stati assistiti dalle suore, quelle col cappellone. Vivevano all'interno, erano sempre reperibili. Ora le cose sono cambiate, qualcuna è rimasta anche se ha cambiato "mise". Per arrivare al pronto soccorso bisogna seguire la scritta "Emergency". All'esterno solo tre ambulanze parcheggiate. Il direttore sanitario è molto disponibile: "Non abbiamo nulla da nascondere, venga anche con l'operatore". In effetti la situazione sembra più tranquilla del Policlinico, anche perché la media degli accessi giornalieri, salvo giornate particolari, è un terzo di quella del Policlinico Umberto I che spesso tocca quota trecento.

Davanti all'accesso al "Triage" una signora anziana in barella domanda: "Ma chi è 'sto Triagge, quando viene?". I medici del pronto soccorso sono disponibili. Una di loro confida: "Fino a tre mesi fa anche noi avevamo le barelle nei corridoi, poi abbiamo razionalizzato il sistema e tutto è migliorato, salvo tre giorni fa, quando nel pomeriggio sono arrivate una valanga di ambulanze, ed il sistema ha rischiato di andare in tilt".