martedì 25 marzo 2014

Tagliamo dove serve, spendiamo dove occorre

Mi sembra di poter dire che il rischio di un infanticidio nei confronti della neonata creatura del Commissario alla Spending Review, quella presentata al Paese attraverso le solite immarcescibili slide, sia molto concreto.
Le prese di distanza, i distinguo e le critiche che provengono da esponenti del Governo alle non originali ricette “Cottarelli” fanno prefigurare chiaramente tutto ciò: l’esperienza dei Commissari (Rex a parte) sembra volgere al declino.
E se la mia percezione è giusta, penso che ce ne dovremmo rallegrare un po’ tutti. Il passato sta li a dimostrare che l’approccio ragionieristico e ossessivamente tecnico sul tema della revisione della spesa produce solo guasti: tanto al sistema delle prestazioni che le Pubbliche Amministrazioni devono garantire ai cittadini, quanto allo stesso obiettivo di  contenere la spesa.
In dieci anni (con un’ accelerazione prepotente negli ultimi quattro) i dipendenti pubblici sono diminuiti di quasi il 12% (350.000 unità in meno), i redditi da lavoro pubblico dipendente in rapporto al PIL hanno perso più di due punti e mezzo e le capacità finanziarie delle amministrazioni sono state pressoché dimezzate.
Ciononostante la spesa pubblica continua a crescere senza controllo e lo fa in stretta e drammatica relazione con le misure di “Spending” dei vari Governi.
Non ci vuole molto a capire che, non solo non c’è nesso alcuno fra tagli lineari e diminuzione della spesa pubblica, ma che ciò produce un  abbassamento insostenibile del livello di prestazioni erogate ai cittadini, oltre che veri e propri processi di dis-organizzazione delle pubbliche amministrazioni.
Cambiare verso, su questo tema, significa per noi capovolgere l’ordine dei ragionamenti: prima bisogna ridefinire l’insieme delle prestazioni da assicurare ai cittadini e al sistema produttivo del Paese, poi individuare le funzioni istituzionali che devono garantirle e , infine, ridisegnare i livelli di responsabilità che rispondono di quelle funzioni.
Se si provasse, ad esempio,  a ragionare per “funzioni”,  ci si accorgerebbe di quanto poco complicato sarebbe accertare le sovrapposizioni di più amministrazioni nel presidio di un stesso diritto di cittadinanza; partendo da ciò gli interventi di razionalizzazione, accorpamento e soppressione di enti e aziende sarebbero una naturale conseguenza.
Se si lavorasse per livelli di responsabilità, inoltre, risulterebbe molto più semplice anche l’individuazione e la ricomposizione dei tanti piccoli luoghi di potere in favore di centrali uniche, con risparmi notevoli sia rispetto alla organizzazione dei servizi che ai fin troppo elevati stipendi di tanti manager pubblici.
Per cambiare verso al Paese, quindi, bisogna cambiare verso a quei ragionamenti che hanno mosso la politica e i Governi negli ultimi cinque/sei anni. Magari si potrebbe iniziare con il dare ascolto a coloro che, tacciati di conservatorismo e immobilismo, hanno elaborato ed avanzato proposte rimaste totalmente inascoltate (“Tagliamo dove serve, spendiamo dove occorre” )
E, ultimo ma non ultimo, il tema dei contratti.
Noi non intendiamo accedere ad una idea che mette insieme “Spending”, cuneo fiscale e contratto nazionale di lavoro in un unico grande ed indistinto blob. Nell’ultimo scorcio della travagliata esperienza del Governo Letta si era ricominciato, pur fra mille contraddizioni, a parlare dei contratti scaduti e dell’esigenza di rinnovarli.
Si riapra quella discussione.
Perché è solo con il contratto nazionale di lavoro che si  trasforma il bisogno di riorganizzare e  razionalizzare le amministrazioni in cose utili, tanto per la spesa pubblica che per i cittadini.
Ed è solo con il  contratto nazionale di lavoro, infine,  che si possono recuperare le tante storture di una crisi che il lavoro pubblico ha già pagato. Fin troppo. 

Rossana Dettori Segretaria Generale Fp Cgil

com.unità

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