venerdì 7 febbraio 2014

Chi l'ha detto che la sanità pubblica è (soltanto) un'idrovora che aspira e spreca risorse pubbliche?

E come credere che «fare lo stesso con meno» - ovvero garantire gli stessi risultati di salute con meno fondi - sia un «automatismo» scontato come appare nell'equazione delle manovre governative.

Il quadro che emerge dal nuovo rapporto Oasi 2013 sul sistema sanitario italiano è quasi una doccia fredda sulle politiche sanitarie di questi anni che di qui al 2015 hanno operato tagli per oltre 30 miliardi al Ssn, e pur senza negare vizi e difetti della sanità pubblica, risulta  una spesa  sistematicamente inferiore alle medie Ue.

Con una spesa pubblica pro capite, pari a 2.419 $ (dollari parità di potere d'acquisto), significativamente più bassa di quella di Francia (3.133), Germania (3.318) e Regno Unito (2.747) e un disavanzo in forte diminuzione a 1,04 miliardi di euro nel 2012 (-17,3% rispetto all'anno precedente), il che equivale allo 0,9% della spesa sanitaria pubblica corrente.

Continuare con la richiesta di sacrifici  a un sistema già parsimonioso rischia di condurre a un punto di non ritorno. 

Il pericolo paventato dal Cergas Bocconi (come peraltro la Funzione Pubblica ha più volte denunciato) è infatti quello di aggravare la forbice tra le risorse in campo e quelle che invece servono per rispondere in modo adeguato alle attese e ai bisogni di cura. 

Finanziamenti che sono invece sempre più insufficienti, al punto da innescare il rischio concreto di intaccare ulteriormente una copertura pubblica già incompleta, tanto più nella versione a ventuno facce del malsano federalismo sanitario di casa nostra.

Tutto questo con bisogni di assistenza che cambiano con l'invecchiamento della popolazione che sta rivoluzionano radicalmente i modelli di assistenza, scaricando spese sempre più alte sul welfare sanitario.

Due casi sono emblematici. I badanti (774mila) che hanno superato i dipendenti del Ssn (646mila) e le spese che sempre più gli italiani sopportano di tasca propria: il 55% paga da sé le visite specialistiche, con la punto massima del 92% per andare dal dentista.

Contenere la spesa e contrarre gli investimenti in tecnologie e rinnovi delle infrastrutture può sistemare i conti della sanità pubblica, ma a discapito della performance sanitaria presente e futura, tanto che in alcune regioni si fa concreto il rischio dell'impossibilità di far fronte alle necessità sanitarie della popolazione.

Insomma "la casa madre" del Professor Monti, scopre che i conti della Sanità sono in ordine, ma curarsi è adesso diventato un lusso.

A livello nazionale la differenza tra entrate e uscite si è azzerata. La spesa sanitaria delle famiglie appare legata principalmente al reddito e poco alla qualità dell'offerta pubblica.

Nonostante i vincoli sempre più stringenti, infatti, negli ultimi mesi il disavanzo è stato sostanzialmente azzerato. A fronte di una spesa pubblica che ha smesso di crescere non c'è, come ci si poteva aspettare, un balzo nei consumi privati.

Anzi, il settore, per la prima volta, chiude con il segno meno. Risultato: negli anni della crisi gli italiani sono stati costretti a tagliare sulla salute, anche sui servizi che, prima, sarebbero sembrati essenziali. Il calo è evidente soprattutto al Sud, dove per le tradizionali debolezze amministrative il sistema è più debole.

Università Bocconi - Rapporto Oasi 2013


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